La preghiera degli Ulissidi

del Prof. Antonio Mercurio

Ci sono tante forme di preghiera.
Chiedere aiuto a qualcuno (agli antenati, agli dèi, a un Dio) è una preghiera; di questa preghiera abbiamo testimonianze millenarie attraverso migliaia e migliaia di reperti archeologici. A tutt’oggi è la forma più conosciuta. E’ una preghiera debole.

Io ho un’accezione più vasta della preghiera. Chiedere in dono qualcosa, anche quando essa ci è dovuta come diritto, è una preghiera. Per es. la richiesta rivolta alla madre interna positiva di avere in dono quanto ci è stato sottratto dalla madre negativa, è una preghiera che ha un doppio effetto, il primo, quello di ricostruire la madre interna positiva, come una presenza benevola che si occupi di noi, e il secondo, quello di liberarci dal senso di colpa di voler rivendicare con la pretesa quel diritto da cui siamo stati espropriati con la violenza. Questi due effetti ne generano un terzo che è raro e prezioso: la capacità di poter fruire il godimento del diritto, recuperato attraverso il dono e non solo con la forza. Questa la chiamerei una preghiera forte e un esempio tradotto in parole potrebbe essere:
“Madre, mi fai il dono della libertà di cui mi hai privato?”.

Tale richiesta contiene in sé almeno tre cose: a) la capacità di mettere da parte l’orgoglio ferito, b) la capacità di perdonare la madre e c) la capacità di riconoscere l’esistenza di una parte positiva nella madre. Questo agire è amore verso se stessi prima ancora che amore verso la madre. Ed è come fare la circumnavigazione della luna e scoprire l’altra faccia della luna, quella che abitualmente non siamo capaci di vedere e che però esiste.

Rendere grazie, alla Vita, è una preghiera.
E pure rendere lode, a qualcuno che se l’è meritata, è una preghiera che scaccia l’invidia e introduce la giustizia nei rapporti umani.
Per me la preghiera, nella sua forma essenziale, è stata ed è la capacità di creare una fonte di luce e una fonte di trasformazione continua per la mia vita. Un costante cammino dalla menzogna alla verità ed alla autenticità. Un’azione trasformatrice e unificatrice di me stesso e delle mie parti interne. Un cammino che va dalla bruttezza alla bellezza.

L’intelligenza e la volontà ci sono d’aiuto in tante cose ma in molte situazioni non sappiamo come fare, non sappiamo cosa fare, non sappiamo cosa scegliere, non sappiamo come agire. Siamo avvolti nell’oscurità e non sappiamo come uscirne fuori. In questi casi è importante poter ricorrere all’aiuto prezioso della preghiera come a una possibile fonte di luce che sta dentro di noi e che si materializza solo se impariamo a pregare. E in questo senso, la preghiera è un’azione indispensabile per attuare il passaggio dalla vita come furto alla vita come dono e dalla vita come violenza alla vita come opera d’arte.

Se osserviamo la nostra realtà esistenziale, ci accorgiamo che non è solo l’Io Persona che prega ma anche l’Io Corporeo, l’Io Psichico e il SE’, ognuno con le sue proprie modalità. L’Io Corporeo prega, quando si rivolge all’Io Persona affinché curi le sue malattie fisiche o semplicemente affinché gli dia cibo, riposo e svago. L’Io Psichico prega, quando chiede all’Io Persona che decida di fare qualcosa per curare i suoi mali psichici.

Il SE’ prega, quando bussa in mille modi diversi alla porta dell’Io affinché l’Io si decida ad ascoltarlo e a compiere le trasformazioni che sono necessarie secondo le leggi della vita.
Anche l’artista prega, quando invoca la Musa per avere l’ispirazione che non arriva, e prega ancora di più quando si macera nel tormento della creazione. Questa preghiera non è conosciuta come tale e tuttavia essa pure è indispensabile e a me sembra giusto chiamarla preghiera.


Per caratterizzare in qualche modo la struttura dell’Io Persona, diciamo che l’Io Persona è il principio spirituale che prende le decisioni di amore o di odio, di essere libero o di essere schiavo, di essere vero o di essere falso, di porsi come vittima o di porsi come artista della sua vita e della vita dell’universo.
L’Io Persona è il principio spirituale vivente che sceglie di darsi un valore o di disprezzarsi; che sceglie di darsi dei valori e un valore piuttosto che un altro; che sceglie quali sogni e quali progetti realizzare; che sceglie la speranza o il nichilismo. Poiché è certo che l’Io Psichico, l’Io Corporeo o il SE’, da soli, non possono assolutamente fare nessuna di queste scelte, questa è una prova certa dell’esistenza dell’Io Persona.
Così possiamo anche affermare tranquillamente che non si troverà mai il gene della preghiera per spiegare perché alcuni preghino e altri invece no. Anche questa è una scelta libera dell’Io, aiutata o meno dall’ambiente e dalla cultura in cui l’Io è inserito.

La preghiera, per eccellenza, sulla quale voglio attirare la vostra attenzione in questo Laboratorio, è l’azione-riflessione-dialogo che realizza, con un lavoro di anni, la fusione tra l’Io e il SE’, il SE’ Personale e il SE’ Cosmico. Per evitare qualunque pericolo di alienazione mistica, dico subito che questa fusione non è fine a se stessa ma è in funzione della trasformazione dell’Io e della capacità di creare la fusione tra l’Io e la Vita del Cosmo e tra l’Io e il Tu di un uomo e di una donna; fusione, quest’ultima, che è la più ardua da compiere per un essere umano e che, come la storia sin qui dimostra, non solo non è alla portata di tutti ma è stata avversata da molti.

Noi siamo esseri viventi e dunque possediamo la vita ma la nostra volontà è quasi sempre in opposizione alla Vita. Il nostro rammarico costante è che “la vita non va come vogliamo noi” e questo è un chiaro esempio di come non ci sia fusione tra noi e la Vita. Il fatto, poi, che l’Io e il Tu siano in continuo conflitto tra di loro, è un altro chiaro esempio di come non ci sia, neanche in presenza di un forte innamoramento, alcuna fusione tra l’Io e il Tu.


Da Omero sappiamo che Ulisse ricorre più volte alla preghiera. La sua preghiera è rivolta sia a Zeus sia ad Atena. Quando Zeus risponde, o appare il dio Ermes ovvero arriva un fulmine a ciel sereno. Ermes appare per dire ad Ulisse in che modo deve affrontare la maga Circe e come fare per ottenerne i favori; Ermes appare per dire a Calipso che il volere di Zeus è che lasci partire Ulisse e che la volontà di Zeus non si discute.
Nel momento in cui Ulisse decide di uccidere i Proci, Zeus manda un fulmine per far conoscere la sua approvazione. Quando Ulisse rivolge la sua preghiera ad Atena, Atena non sempre si manifesta ad Ulisse ma Omero racconta che la dea spesso lo previene, prodigandosi in suo aiuto perché, di tappa in tappa, egli possa giungere ad Itaca, l’isola della bellezza seconda.

Se traduciamo Zeus e Atena come se fossero due parti interne di Ulisse, possiamo convenire che Zeus, da una parte, rappresenti una volontà che non si discute e, dall’altra, un aiuto insperato che giunge all’improvviso. Atena, invece, rappresenta la saggezza di Ulisse, che opera per il suo bene e spesso a sua insaputa, e questa saggezza è insita in ogni uomo, dice Omero sin dai primi versi dell’Odissea.

La volontà che non si discute, a mio avviso, appartiene sia alle leggi della vita che portiamo scritte dentro di noi e sia al SE’ Cosmico, il quale porta in sè una volontà cosmica che è superiore alla nostra. Essa opera per la realizzazione di un progetto globale che la nostra intelligenza spesso non è capace di cogliere a priori. L’aiuto insperato parla delle profonde risorse dell’essere umano, risorse che spesso non sono sfruttate.

Anche gli Ulissidi rivolgono la loro preghiera al SE’ (Zeus e Atena), perché sanno che senza la preghiera non possono diventare artisti della loro vita e della vita dell’universo.

La preghiera è l’azione energizzante che consente all’Io di superare le sue paure e di darsi il coraggio, che non ha ancora, per prendere le decisioni giuste. Ed è lo spazio, che si crea dentro di noi, all’interno del quale l’Io diventa capace di fare le sue capriole necessarie per vedere quello che non vuole vedere e per fare quello che normalmente non vuole fare. La preghiera è il campo energetico che si crea man mano che la preghiera cresce e che consente all’Io di giungere gradualmente alla fusione tra l’Io e il SE’, meta indispensabile per poter trasformare la propria vita in un’opera d’arte.


Il SE’ è il primo “Tu” fondamentale dell’Io. (Quando non è specificato di quale Io si parla, si intende sempre l’Io Persona come soggetto centrale dell’individuo umano).
L’Io e il SE’ formano una coppia di opposti che contiene al suo interno attrazione e repulsione, così come avviene nella coppia maschile – femminile.
E come c’è un maschile – femminile interno e poi ce n’è uno esterno, così anche il SE’ in parte è interno e in parte è esterno e parla da dentro e da fuori. Tra l’Io e il Tu di una coppia, ci può essere innamoramento e passione, ma quando l’uno e l’altra finiscono subentra ostilità o indifferenza. Qui si apre lo spazio per una decisione di fondo: rinunciare alla coppia o perseguire la meta trasformando se stessi?

Tra l’Io e il SE’ non c’è innamoramento. A volte c’è attesa e ricerca. A volte c’è folgorazione improvvisa. A volte c’è estraneità profonda, dovuta alla Yubris dell’Io e alla sua teomania.
Ma l’Io senza il SE’ è come l’artista senza talento e senza ispirazione. Non produrrà mai nulla di immortale.

A volte accade che il SE’ si riveli all’Io in tutta la sua luminosità, ma questo avviene solo dopo che l’Io ha lungamente lottato e atteso perchè la luce si crei e dopo aver attraversato tutta l’oscurità che era necessario attraversare. Non dimenticate che le stelle prima di diventare luminose erano solo un ammasso di nube oscura. Perché noi dovremmo essere diversi? Spesse volte la nostra oscurità è fatta di ignoranza e di paura, di orgoglio e di pretesa, di superbia e di tracotanza, di menzogna e di volontà di potenza.
Altre volte l’oscurità è un semplice fatto naturale dovuto alla qualità della materia e dello spirito di cui siamo fatti.

L’oscurità, dunque, non è solo appannaggio della materia oscura, è interna all’Io e serve anche per far macerare l’Io nella sua impotenza e prepararlo all’incontro con il SE’.
Quando il processo di macerazione è completo, il SE’ si rivela e l’Io si riempie di luce e di gioia.

Durante questo processo la preghiera è un elemento indispensabile per affrettare la macerazione dell’Io e della sua volontà di potenza e così predisporlo alla fusione con il SE’.


Vi indico adesso una forma di preghiera che è stata preziosa per me quando ho dovuto rivoltare la mia vita come un guanto:

O mio SE’,
Signore della mia vita
E figlio del mio amore
E del mio coraggio,
Quel che Tu vuoi
E’ giusto che accada
E dove Tu vuoi
Io voglio andare.

Aiutami solo a capire:
Perché mi hai messo
In questa situazione?
E che vuoi da me
Che Io faccia?

Quando Tu vuoi
Allora è tempo
E quando Tu vorrai
Io arriverò all’isola
Della bellezza seconda.

Anche se pare
Una sventura
Quel che Tu vuoi
Per me è guadagno.

Ma dimmi:
Che vuoi che io crei
Da tanto dolore?

E che c’è di sbagliato
In me
Che io devo
Trasformare?

Anche se a volte
Mi sento precipitare
Negli abissi
Se Tu lo vuoi
Per me è bene
E per questo
Ho coraggio.

Prima che Io sia Te
E Tu sia me,
Mentre muoio e
Rinasco
Per realizzare i miei sogni
E i tuoi sogni
Nelle tue braccia
Trovo il mio riposo.


Può accadere che il trovarsi per la prima volta di fronte a questa preghiera possa mettere paura ed è un buon segno che questo accada. Significa che il testo tocca dei punti nevralgici del nostro modo di essere e che emerge in noi un forte desiderio e una forte ribellione al cambiamento. Siamo in un’epoca storica in cui nessuno più accetta che ci sia un potere al di sopra di noi. Non vogliamo più che nessuno abbia potere sulla nostra vita, a torto o a ragione.

Nè accettiamo di morire alla nostra identità attuale per acquisirne una migliore, anche se questa è una legge della vita che è ineluttabile. Non ci va di attraversare il vuoto e abbiamo paura di andare verso l’ignoto. Non vogliamo rinunciare alla volontà di porci come un assoluto nè abbiamo voglia di smettere di imporre agli altri e alla vita questo assoluto. Ora la verità è che noi non siamo un assoluto e che il SE’ trascende l’Io ed ha un potere che l’Io non ha. Nel SE’ è contenuto il progetto che l’Io deve realizzare nella vita e questo è il progetto gli è stato assegnato dal SE’ Cosmico. Un progetto di vita a volte è chiaro sin dall’infanzia; a volte si rivela giorno dopo giorno, anno dopo anno. A volte ha un andamento lineare, a volte ha un andamento dialettico e passa da un opposto all’altro finchè non arriva la sintesi. Ora, in tutto questo percorso, l’Io non ha il potere di guardare al di là della punta del suo naso, il SE’ invece sì.
Per questo dico che il SE’ è Signore della mia vita.

E’ necessario sapere che la paura si supera se pensiamo che la virtù del coraggio non è assenza di paura ma superamento della paura; si supera, se pensiamo al potere che abbiamo di creare ciò che ancora non esiste e se solo cominciamo a credere e ad aver fiducia nel nostro potere creativo. Il SE’ può esistere per conto suo ma non esiste nella nostra vita se noi non lo creiamo; per questo dico che è figlio del nostro coraggio e del nostro amore.
La paura si supera se abbiamo un progetto da realizzare, un sogno o un mito da creare, quello della bellezza seconda, per es., e se siamo convinti che la nostra vita diventa alienata e priva di senso se non realizziamo il nostro progetto o i nostri sogni e i nostri miti.

Io, comunque, a partire dagli anni sessanta, con l’aiuto di questa preghiera ho creato la mia seconda vita. E’ stato molto doloroso ma è stato anche entusiasmante.
Con l’aiuto di questa preghiera ho affrontato la mia lunga odissea per diventare capace di creare un rapporto di coppia e capace di amare una donna, e anche questo è stato un cammino pieno di patimenti.


Se qualcuno volesse cominciare con qualcosa di più facile vi posso suggerire un’altra mia preghiera che è stata già pubblicata nel libro di Giuliana Montesanto e Massimo Calanca: “Alla scoperta del Padre”:

Padre mio che sei
Nel più profondo del mio cuore
Fa che tu non sia
Per me
Uno sconosciuto.

Sia fatta la tua saggezza
E non la mia
E fa che io possa conciliare
La mia volontà con la tua.

Non mi dare solo
Il pane quotidiano
Dammi anche
Un frammento della tua anima
Perché anch’io possa
Come te darmene una.

Come gli uccelli del cielo
E i gigli del campo
Non ho debiti né debitori
Perché la via è dono
E tutto è dono:
gioie, dolori e affanni.

Ma come gigli e uccelli oggi ci sono
E domani non più
Così anch’io svanirò nel nulla
Della morte eterna
Se tu non mi aiuti
A fare di me un artista
E della mia vita
Un’opera d’arte.

E, per finire,
tentami, se è necessario,
ma liberami dall’ideale di perfezione
e così sia.
Sia fatta la tua saggezza
E non la mia.


Queste due preghiere sono basate sulla metapsicologia dell’Antropologia Personalistica Esistenziale. A partire dal concepimento, l’Io è uno ed è quattro. L’Io è insieme sia l’Io Persona sia l’Io Corporeo sia l’Io Psichico sia l’Io Trascendentale o SE’, e ciò perché tutt’e quattro le componenti appartengono a uno stesso e unico soggetto.
Ma poichè queste quattro componenti dell’Io sono tutte degli opposti tra di loro, spesso l’uomo è un coacervo di conflitti. A volte può succedere, per dono di natura, che esse siano in armonia tra di loro ma più spesso accade che siano, nel migliore dei casi, in lotta tra di loro e, nel peggiore dei casi, scisse tra di loro cioè lontane l’una dall’altra migliaia di anni luce. Arrivare a ricomporle e ad armonizzarle tutte è il compito dell’artista che vuole fare della sua vita un’opera d’arte.

Io sono partito dalla necessità di armonizzare, per prima cosa, l’Io Persona e il SE’ e questo l’ho fatto con l’aiuto della prima preghiera e con l’aiuto dell’Io Corporeo che era il libro sul quale avevo imparato a leggere la voce del SE’. So che questa opportunità non è data a tutti, e quindi chi non ce l’ha deve cercarsene delle altre, ma a me è stata data.
Solo dopo questa prima unificazione mi sono calato negli abissi dell’Io Psichico e successivamente in quelli della vita intrauterina, prima esplorandoli e poi trasformandoli, uno a uno, con infinita pazienza, dolore e costanza. Per fare questo lavoro è stato indispensabile l’aiuto della vita di coppia.
Dall’unificazione, gradualmente, sono passato alla fusione e questo lavoro non è ancora terminato. Tuttavia posso dire che esso è a buon punto e questo mi ha permesso di poter esplorare in qualche modo la dimensione cosmica e quella ultracosmica e di mettere a punto il teorema della cosmo-art e il mito della cosmo-art o della bellezza seconda.


Non avrei mai potuto compiere questo percorso senza le molte ore che ho dedicato alla preghiera, cioè all’azione-riflessione-dialogo tra l’Io e il SE’. In primo luogo, la preghiera è l’azione che crea lo spazio per dialogare con il SE’; poi è l’azione – riflessione che crea altri due spazi, l’uno per ascoltare il SE’ e l’altro per decidere di rispondere di sì. E’ necessario prima immaginare le capriole da fare, vedendosi sia dall’alto sia dal basso, cioè da due punti di vista completamente diversi tra loro.
In secondo luogo, la preghiera è quell’azione che decide di fare le capriole, cioè di compiere la trasformazione e di rendere possibile ciò che prima era impossibile fare. In terzo luogo è la riflessione che si trasforma in intuizione e con essa diventa possibile vedere ciò che prima era impossibile vedere ed è a questo punto che l’azione diventa creazione.
Creazione di sé e creazione di un nuovo mondo e di una nuova vita.

Questo punto della “creazione” è molto importante per chiarire meglio in che modo l’Io deve rapportarsi al SE’. Noi siamo figli di una tradizione antica che parla di accettazione e rassegnazione di fronte alla volontà di Dio. Dio decide e l’uomo deve solo obbedire.
Questa tradizione va assolutamente cambiata per chi vuole seguire il cammino di fusione tra l’Io e il SE’. Il Se’ decide, è vero, ma egli esige che l’Io trasformi e crei qualcosa di molto diverso da ciò che egli ha deciso. Dalla sintesi di due opposti, e la fusione è una sintesi di opposti, nasce sempre qualcosa di totalmente diverso dai due elementi che precedevano la sintesi.

Un artista che lavora con il marmo o con la pietra, ha davanti a sé due realtà opposte alla sua. Queste realtà vanno assolutamente accettate ma l’agire dell’artista deve essere tale da trasformare completamente l’essenza e l’esistenza del marmo o della pietra. Esse devono trasformarsi nell’essenza e nell’esistenza di una specifica opera d’arte creata da uno specifico autore. L’accettazione della realtà del marmo c’è ma è dialettica, essa deve contemporaneamente esserci e non esserci; al suo posto deve esserci una realtà nuova, l’anima vivente che l’artista ha infuso nel marmo. Una volontà del SE’ che comporta un’avversità o un lutto deve essere assolutamente accettata dall’Io ma ugualmente deve essere trasformata affinché al posto della perdita e del lutto ci sia nuova vita. E questa vita è l’Io che la crea non il SE’.
Perciò nella prima preghiera c’è scritto:

“Che vuoi che io crei
Da tanto dolore?”


Per tornare ad Omero e all’Odissea ci giova adesso fare due riflessioni. La prima: Atena non può fare da sola quello che vuole; deve prima avere il consenso di Zeus. E questo ci aiuta a capire come il SE’ Personale e il SE’ Cosmico stiano sempre in stretto contatto tra di loro.

La seconda: Tutto quello che Atena fa in favore di Ulisse, serve per aiutarlo a raggiungere Itaca. Ma Itaca non è la meta finale né il progetto finale di Atena o di Ulisse. Il poema non si chiude con il racconto dei Feaci che depositano Ulisse addormentato sul suolo di Itaca. Se fosse stato così, il ritorno, il tanto conclamato “nostos” dei poeti e degli scrittori, si sarebbe compiuto qui.

Ma non è al “nostos” che pensa Omero. Da qui in poi c’è un’altra metà del poema per raccontare in che modo Ulisse deve riconquistare la sua reggia e soprattutto il cuore di Penelope.
Ci sono voluti dieci anni per assediare Troia e l’astuzia del cavallo di legno per penetrarla e abbattere le sue mura che contenevano Elena, la donna contesa.

Ci sono voluti altri dieci anni (tutta l’odissea per mare) per assediare Penelope e l’astuzia di Ulisse di fingersi un mendicante e la sua decisione di ingaggiare la lotta con l’arco per penetrare nel cuore di pietra di Penelope, abbattere il suo orgoglio di bambina ferita e fare emergere in lei un cuore di donna capace di amare un uomo.
Ci sono voluti venti anni perché Ulisse diventasse un uomo capace di amare una donna. Che meraviglia che ce ne vogliano altrettanti perché Penelope diventi una donna capace di amare un uomo?

Se il SE’ è il primo “Tu” fondamentale dell’essere umano, l’altro “Tu” fondamentale è il “Tu” del partner in una relazione di coppia. Non è per niente facile per l’Io aprirsi al Tu, incontrare un Tu e decidere di fondersi con lui, così come avviene in natura, ad ogni concepimento, tra l’ovulo e lo spermatozoo.
La fusione nucleare e la nascita di una stella sono un’opera d’arte della natura. Altrettanto lo è la fusione di due gameti e la nascita di una vita biologica.
Ma la natura da sola non è capace di creare la fusione di un Io con un Tu, in un incontro d’amore duraturo.

Questo, quando accade, è un’opera d’arte dell’uomo e della donna, uniti in uno stesso progetto: la fusione del maschile con il femminile per la creazione della bellezza seconda.
Questo è il vero progetto di Ulisse, questo è il vero progetto di Atena, secondo quanto racconta il poema di Omero.
Un progetto che né gli dèi né gli uomini, da soli, separatamente, potranno mai realizzare. Questo è un progetto che si può realizzare solo se gli dèi lavorano insieme con gli uomini e gli uomini con gli dèi. Nella preghiera si incontrano e si fondono le forze umane con le forze divine (chiamiamo divine le forze cosmiche) per poter creare cosmoartisticamente la bellezza seconda.


La condizione umana dell’uomo e della donna è quella di restare a lungo prigionieri del mondo materno e del mondo paterno. Affinché l’uno e l’altra si liberino dei legami vischiosi che li tengono legati al passato e si riapproprino interamente della loro vita e della loro capacità di amare un Tu, Omero pensa, e io sono d’accordo con lui, che ci vogliano un lungo assedio e una lunga odissea con battaglia finale. Il lungo assedio è narrato nell’Iliade, la lunga odissea e la battaglia finale sono narrate nell’Odissea.

A voler guardare insieme i due poemi sembrerebbe che tutt’e due raccontino lo stesso tema: l’assedio e la guerra che sono necessari per conquistare una donna. Ma non è così. Il secondo Omero è più maturo del primo e ha una più profonda conoscenza della vita e dell’animo maschile e femminile ed ha, inoltre, un secondo progetto in mente, quello della creazione della bellezza che ancora non c’è e non più soltanto quello della conquista della bellezza che già c’è.

Ci sono tanti eroi nel primo poema ma nessuno di questi eroi è capace di trasformare se stesso e diventare un uomo. Sono capaci di compiere grandi imprese ma nessuno di loro è capace di superare e spezzare i legami che hanno col mondo materno. Achille resta prigioniero della madre e muore. Voleva la gloria e l’ha avuta ma nell’Ade rimpiange la vita che ha perduto. Agamennone è uno stupido e orgoglioso bambino che prima è causa di grandi lutti agli Achei e poi va inerme incontro alla vendetta e al tradimento di Clitennestra. Aiace muore in preda alla follia perché gli hanno tolto le armi di Achille. ( E’ il pianto disperato del bambino a cui hanno tolto il suo orsacchiotto? ) Ulisse si prende il bottino, la gloria e le armi ma il suo bambino sta ancora sepolto dentro di lui ed è più imprendibile di Troia. Ci vorranno parecchie donne e molto navigare prima che possa affrontare la discesa nell’Ade e sia capace di guardarlo in faccia per poi decidere di trasformarsi. Ettore, invece, aveva l’amore di una donna, Andromaca, ma non ha saputo o non ha voluto ascoltarla. Anche lui ha preferito la gloria invece che sviluppare un rapporto d’amore con una donna.
Cos’è la gloria se non l’immagine sfuggente della madre che ti svuota della vita e tu puoi stringerla tra le mani solo per un istante? Omero si accorge del nulla a cui sono votati i suoi eroi e in cuor suo se ne rammarica. Ne sceglie uno, Ulisse, e attorno a lui costruisce un secondo poema per colmare le lacune del primo.


Elena era una bambina. Barbie, un giocattolo in mano ad altre bambine. Per aiutarla a diventare una donna, Greci e Troiani hanno rischiato in molti la vita. Ci sono riusciti? Forse. Nausicaa era una bambina che giocava con altre bambine, prima che Ulisse risvegliasse in lei il desiderio di diventare una donna. Penelope pure era una bambina. Ma una bambina killer che non perdonava ad Ulisse di averla strappata dal padre e dalla sua terra con la violenza di un baratto né gli perdonava di averla lasciata sola per vent’anni.

Per risvegliare Nausicaa Ulisse rischia la vita due volte, una quando sta per annegare strappato dalla sua zattera e l’altra quando rischia di sfracellarsi sugli scogli per tentare di avvicinarsi a riva.
Per risvegliare Penelope Ulisse rischia mille volte. Rischia ogni volta che lotta sul mare con un mostro marino; rischia ogni volta che si lascia sedurre da una donna; rischia nella sua reggia dove si sono riuniti i Proci, con il consenso ambiguo di Penelope, per complottare la sua morte e la morte di Telemaco.
Nella lunga odissea per mare Ulisse ha accumulato esperienza e conoscenza di donne che, in un modo o nell’altro, hanno sempre tentato di ucciderlo. Tutte forme diverse di una stessa donna, sua madre, che cercava di strangolarlo, già nella vita intrauterina, con il suo amore possessivo e divorante.
E’ stato lungo e difficile liberare la propria vita dal mondo materno e restare in vita; non è facile aiutare una donna a liberarsi dai suoi legami con la madre e non patirne le conseguenze. Bisogna rischiare la vita mille volte e bisogna saperla salvare. Bisogna perdonare mille volte e non arrendersi mai e non perdere mai la speranza. Agli uomini e alle donne di oggi non piace rischiare la vita e non piace perdonare. Preferiscono la fuga. Fuga nella alienazione di sé, fuga nel lavoro, fuga nel vittimismo e nel masochismo, fuga nel nulla e nella morte. Questo Omero l’aveva già capito tremila anni fa e con i suoi poemi ha voluto farci dono della sua profonda conoscenza e della sua saggezza. Quando parla di Ulisse, parla di se stesso e quando parla di Penelope, ugualmente sta parlando di se stesso.

Ho letto tanti libri su Ulisse, e sull’Odissea in particolare, ma ancora non ho trovato un solo autore che sia entrato in se stesso per capire ciò che Omero voleva raccontare di sé e ciò che voleva dire sul destino dell’uomo e della donna, sul senso della vita in questo universo e sul senso dell’appartenenza della vita a questo universo.
E’ mai possibile che il mito di Ulisse si esaurisca tutto nella sua sete di conoscere e di viaggiare o nella sua nostalgia di ritornare a casa? A me pare che gli autori che ho letto sin qui si ripetano l’un l’altro. Vedono un solo aspetto di Ulisse e tutti gli altri non li vedono. E’ mai possibile che nessuno tenti di darsi una spiegazione del perché Ulisse rifiuti di ricevere in dono l’immortalità che gli promette Calipso, quando tutti sanno che la mitologia greca è piena di personaggi che aspirano a diventare immortali?
Come mai Omero si discosta dagli altri su un punto di così grande importanza? Che mistero è questo?
Io ho dato la mia risposta a questo interrogativo e non devo ripeterla qui (v. Antonio Mercurio, “Gli Ulissidi”).

Voglio solo dire che come il DNA, attraverso una fusione di cromosomi maschili e femminili, si è inventata la sua maniera di diventare biologicamente immortale, così Ulisse, attraverso la sua fusione con l’imprendibile Penelope, si è inventata la sua propria maniera di diventare immortale, non come un dio né come un semidio ma come l’archetipo di un mito che non cesserà mai di affascinare gli esseri umani. Da questo mito apprendiamo che la fusione, e non solo l’incontro, tra l’Io e il Tu di un uomo e di una donna, è una strada che ci viene additata per partorire la nostra propria immortalità centrata sulla bellezza seconda.
Questo è il dono di Omero; questa, secondo me, è la vera essenza del mito di Ulisse, ancora tutta da scoprire.

Per cercare l’unione mistica con Dio o per salvarsi l’anima, che era già immortale ma a rischio di dannazione eterna, asceti, eremiti e monaci hanno dedicato gran parte della loro vita alla preghiera (vi ricordate la regola di San Benedetto: “Ora et labora”?). Queste persone avevano un modello di uomo che cerca l’incontro e la fusione con l’Assoluto ma non avevano il modello di un Io che cerca e crea la fusione con un Tu umano.
Questa millenaria eredità ha pesato a lungo sulla mia vita in maniera negativa e non è stato facile scrollarmela di dosso. Ugualmente la ricerca della donna angelicata, fulcro del poema dantesco, mi ha causato molti danni. L’Ulisse dell’Odissea mi ha molto aiutato a cambiare prospettiva.


Proporre la fusione dell’Io con il Tu in un momento storico in cui il numero delle separazioni e dei divorzi è in costante aumento, può sembrare una follia.
E’ vero ma, se a mali estremi ci vogliono rimedi estremi, a condizioni disperate ci vogliono ideali impossibili, se no perché decidere di non affondare nella palude comune? Solo il proporre quello che gli altri non osano fare è una buona molla per fare scattare le nascoste risorse dell’essere umano e aiutarlo a lanciarsi nell’avventura di mete impossibili e sconosciute. Così si è creata l’evoluzione della specie umana dagli ominidi agli umani, così avverrà ogni salto ulteriore nella scala dell’evoluzione.

Il mistero di come avviene la fusione nucleare che fa nascere le stelle ci è stato svelato da anni di ricerca scientifica. Prima nessuno sapeva cosa fosse e nemmeno che esistesse. Come avvenga la fusione tra l’Io e il Tu, Paola ed io l’abbiamo descritto nella nostra conferenza al congresso della SUR ad Assisi nel 1987, “Unificazione ed armonizzazione del principio maschile e del principio femminile”, pubblicata sulla rivista Persona n.14 – marzo 1988 e come inserto speciale del giornale “Gli Ulissidi”, maggio 2000.

Qui voglio aggiungere un’altra riflessione che mi sembra importante per evidenziare al massimo la trasformazione che avviene nel cuore di Penelope.
Per tre anni lei ha illuso i Proci con l’inganno della tessitura del lenzuolo per la morte di Laerte:

“E prima un manto mi ispirò in cuore un dio,… …di giorno la gran tela tessevo e la sfacevo di notte, con le fiaccole accanto”. (Odissea, cap. XIX)

In questi versi possiamo cogliere un indizio della preghiera di Penelope. In conflitto con la decisione da prendere, se restare fedele a Ulisse o convolare a nuove nozze, Penelope chiede aiuto alla preghiera e un dio le suggerisce l’idea della tela. Pregare e tessere diventano una sola unica azione. Ma questa azione non è efficace, serve solo a temporeggiare.
L’azione decisiva irrompe al momento in cui Penelope, parlando con Ulisse che si è nascosto sotto le sembianze di un mendicante, ha un’altra idea, anche questa sicuramente ispirata dal suo SE’, l’idea di proporre una gara legata a un ricordo che lei aveva di Ulisse:

“…chi più facilmente l’arco tenderà tra le mani, e con la freccia traverserà tutte le dodici scuri, io lo seguirò, lasciando questo palazzo…” (Odissea, cap. XIX)

Tessere è un’azione squisitamente femminile. Tendere l’arco è un’azione principalmente maschile ed è l’arma preferita da Apollo, il dio dell’arte, e sappiamo che l’arte è sempre una fusione di opposti.
Noi potremmo pensare che l’arco rappresenti al meglio la fusione del femminile con il maschile, dove la curvatura dell’arco simbolizza il femminile e la freccia che scocca simbolizza il maschile. La fusione delle due forze, maschile e femminile, rappresenta il massimo dell’efficacia nell’agire.
Questa gara con l’arco si rivelerà decisiva per dare ad Ulisse l’arma migliore per uccidere i Pretendenti e Ulisse non l’avrebbe avuta se Penelope non l’avesse proposta.
Tessere era un inganno, proporre l’arco è stata l’arma vincente, e questo ci fa intravedere che Penelope è cambiata ed ha fatto un passo decisivo verso la decisione di diventare donna e di amare un uomo. Qui risiede la creazione della bellezza seconda, della bellezza che ancora non c’è e che bisogna creare perché ci sia. La preghiera è l’ancella di questa creazione.


A me piace immaginare un mondo nuovo dove gli umani dedichino gran tempo alla preghiera non per salvarsi l’anima ma per darsi un’anima che sia veramente immortale. Qui ho cercato di spiegare che questo può accadere quando si lavora alla fusione tra l’Io e il SE’ e, partendo da questa fusione, darsi come meta finale la fusione tra l’Io e il Tu di un uomo e di una donna.

Dalla fusione nucleare nasce una stella e poi una galassia di stelle.
Dalla fusione subnucleare nasce un universo intero.
Dalla fusione biologica nasce una vita vegetale, animale e umana.
Sono tutte nascite di organismi viventi.
Dalla fusione, e non dalla simbiosi, di un uomo con una donna, che sono per natura due esseri contrapposti tra di loro, nasce un superorganismo vivente la cui vita sfida la morte per sempre e va al di là dello spazio tempo di questo universo.

Molte cose Ulisse aveva perdonato a Penelope e molte cose Penelope ha perdonato ad Ulisse (abbandoni, tradimenti, voglia di vendetta, complotti mortali e sperpero dei beni).
Adesso hanno appena finito di fare l’amore, dopo venti anni di separazione, e hanno davanti una notte intera per raccontare e raccontarsi. Poiché tutto è stato perdonato, tutto può essere raccontato e tutto può essere capito in un’ottica nuova che va al là del bene e del male. Al di là del bene e del male c’è solo la bellezza seconda, un campo di energia che è sintesi di molti opposti, incluso il bene e il male.

Ora che l’Io e il Tu sono fusi in Uno, Ulisse può ripartire verso l’altra metà del mondo, come gli ha predetto Tiresia, e non c’è più abbandono, perché l’Io e il Tu sono un Unicum che cerca gli Altri per creare insieme un SE’ Corale, dove tutti coloro che vogliono, nessuno escluso, possano partecipare al grandioso progetto della creazione della bellezza seconda.
Dopo, finalmente, ci sarà il desiderato ritorno, il “nostos”, e ci sarà serena vecchiezza e ci sarà un giorno lontano in cui verrà la morte fisica, con dolcezza, dal mare.